“Le dichiarazioni di Manganelli sulla possibile introduzione dei numeri di identificazione per i poliziotti in servizio di ordine pubblico sono inaccettabili. E’ evidente che il Capo della Polizia non rappresenta i suoi uomini, né è capace di tutelarli: se non ha più voglia di fare questo lavoro, abbia il coraggio di andarsene a casa!”. E’ quanto afferma Franco Maccari, Segretario Generale del COISP – il Sindacato Indipendente di Polizia, che spiega: “Le scuse inopportune, le affermazioni incredibili di Manganelli sono peggio dei calci tirati dai manifestanti contro il nostro collega rimasto a terra. Perché il Capo della Polizia, anziché accettare che i suoi uomini vengano marchiati come le bestie, non pretende che vengano dotati di adeguati strumenti di difesa? Mentre si portano ad esempio le polizie europee per chiedere l’applicazione dei numeri di riconoscimento, perché non si pretende che anche la Polizia italiana venga dotata di telecamere sui caschi e sulle auto come avviene in ogni parte del mondo, per consentire di identificare gli autori di reati?
Perché il Capo della Polizia non chiede che i suoi uomini,
pagati (loro sì…) una miseria al mese, vengano quantomeno dotati di moderne
tute protettive, come quelle in dotazione alle polizie degli altri Paesi, per
proteggerli meglio dagli assalti dei manifestanti? Perché il Capo della Polizia
non pretende che i suoi uomini rimasti feriti negli scontri, non siano
costretti a pagare il ticket in ospedale per ricevere le cure mediche? Perché
non spiega come mai da gennaio non ci saranno i soldi per comprare i caschi, i manganelli,
divise idonee? Anziché difendere e tutelare con forza i suoi uomini, a maggior ragione
mentre denuncia un’escalation di tensioni sociali e il pericolo di scontri di
piazza, Manganelli fa il gioco di chi contro la Polizia sta conducendo una
lunga guerra di fango e violenza! Dimentica Manganelli che in tre anni, oltre
1.500 tra poliziotti e carabinieri sono rimasti feriti durante lo svolgimento
di servizi di ordine pubblico. Uomini e donne che sono entrati in Polizia per
fare i poliziotti, non per fare i guerriglieri o per prendere botte e insulti durante
le manifestazioni. Uomini e donne che finiscono continuamente sotto accusa per presunti
abusi che si rivelano inesistenti, ma soltanto dopo lunghi e costosi processi,
che rovinano la vita di intere famiglie, perché significano spese legali
insostenibili, carriere interrotte e preoccupazioni che rovinano la serenità
personale e familiare. Nessuno si preoccupa di come risarcire i poliziotti
rimasti feriti negli scontri, mentre tutti fanno a gara per garantire una
serena possibilità di delinquere ai teppisti. Chi chiede i numeri di
riconoscimento sulle divise, dimentica i tanti morti tra le Forze dell’Ordine,
vittime del terrorismo brigatista con la sola colpa di avere il proprio nome
riportato su una lista in mano agli assassini”.
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